Bene ha fatto Simone Fagioli a raccogliere in una silloge unitaria le sue poesie d’amore, certamente guidato dal Maestro Piva, che gli ha dedicato la suggestiva SONATA QUINTA op. 87, confermando l’effetto magico che poesia e musica possono compiere, quando si congiungono carnalmente. Come, del resto, nell’amore, dove due corpi, due anime diventano miracolosamente inscindibili, confermando quel calco totale, che nessuno può separare, a costo di provocare solo inquietudine, insoddisfazione ma, soprattutto, incompletezza, incompiutezza, che possono sembrare la stessa cosa, ma sono in parte cose drammaticamente diverse. Fagioli è un uomo d’amore e in questa silloge offre una prova intima, intensa, persino giustamente irruente, di ciò che è la passione d’amore, quando ti prende e ti possiede per intero; ma Fagioli è anche un poeta, che sa ritmare i propri slanci, sussurri e baci su un pentagramma estremamente consapevole, che si rinnova di continuo, facendosi talvolta da rapsodia sinfonia.

Il lettore riconosce nelle sue parole i momenti più esaltanti ed esultanti della sua vita, accanto a quella malinconia, di lontana memoria anche culturale, che prende l’amante quando avverte inquieta e intollerabile l’assenza, la mancanza di una parte di sé per la lontananza della sua amata. Colpisce, in questa sorta di vademecum dell’eros, inteso nella sua piena compiutezza semantica, l’offerta di vita che il poeta compie, donando tutto l’universo. Sono momenti assoluti, autentici, che nascono dalla profondità del proprio essere e per questo devono essere assunti a modelli catartici e felici, che la vita sa regalare solo a chi veramente l’ama e riesce a trasferire questo amore alla donna, divenuta centro imprescindibile della propria esistenza. Nell’amore la vita tocca il suo apice e fortunato è colui che, come Fagioli, sente vibrare dentro di sé tutta l’energia che l’universo sa sprigionare, ben consapevole della incommensurabile infinitezza di un sentimento, che, regalandoti felicità, ti consente di prendere la vita dal verso giusto e di goderla fino in fondo. Sensi e sentimenti appaiono, in questo diario d’amore, del tutto inscindibili, dal momento che il poeta espone tutto se stesso in pensieri, ma anche e soprattutto in gesti continui ed evidenti, capaci di esprimere tutto l’ardore di un amore, che non conosce pause, ma sempre si rinnova, si rinforza, invocando una presenza fisica costante e imprescindibile. Nella nostra letteratura ci sono stati poeti che hanno amato l’amore metafisicamente, trovando nella poesia un luogo ideale per dare libero sfogo alle loro fantasie; anche Fagioli, da lontano, sogna e soffre, ma da vicino non può fare a meno di manifestare, con gesti e parole, tutto il suo slancio amoroso, riservandosi tuttavia anch’egli dei cantucci, del tutto personali, nei quali manifesta ancora una volta l’intenzione di offrire alla propria donna tutto ciò che di bello e di buono l’universo mostra e nasconde e che solo la poesia è capace di scavare e svelare. Il tutto, è indispensabile aggiungere, con un senso di protezione e di difesa del proprio amore da tutto ciò che il mondo circostante potrebbe contaminarlo, inquinarlo. Si avverte, in tal senso, in tutta la silloge una sorta di ecologia dell’amore, estrema riserva di bellezza e purezza in una società sempre più caotica e incontrollabile. Un’ultima osservazione riguarda il titolo dell’opera. Come ricordavo spesso ai miei studenti, la nostra tradizione letteraria, per limitarci a qualche esempio, da Petrarca a Leopardi, è “cantata”, da un punto di vista semantico e strutturale, ma anche formale. E questo canzoniere d’amore rientra a pieno titolo in questa orchestrazione sonora, che la strumentazione del Maestro Piva conferma e sostiene brillantemente. La poesia è canto, musica, ritmo e, quando è animata da un sentimento così travolgente, quale è quello dell’amore, si presta a raggiungere note di suggestiva espressione. Tutto ciò qui accade con la naturalezza e la consapevolezza di un poeta, inquietamente sereno, che alla parola affida i suoi tormenti e le sue gioie.

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